No, non vogliamo darvi consigli di stile o di eleganza, ma parlarvi della qualità dei tessuti che indossiamo ogni giorno. Se, infatti, si discute tanto di inquinamento atmosferico e di cibi contaminati, solo raramente ci si preoccupa delle insidie nascoste nei capi di abbigliamento o nelle calzature che indossiamo, non dedicando a questo tema l’attenzione che invece meriterebbe.
Sapevate, ad esempio, che circa l’8% delle patologie dermatologiche rilevate nei presidi sanitari del nostro Paese è originata dal contatto con sostanze chimiche pericolose rilasciate proprio dai capi tessili? Tanto che il Rapex, il sistema comunitario di allerta rapido per i prodotti non alimentari pericolosi, ha collocato i capi di abbigliamento al primo posto della classifica per la possibile presenza di sostanze chimiche nocive.
Questo perché i vestiti che indossiamo spesso vengono sottoposti a una serie di trattamenti per renderli più belli o funzionali (tinture, trattamenti antipiega, impermeabilizzanti, etc.) che li fanno entrare in contatto con diverse sostanze chimiche potenzialmente nocive. E se tali lavorazioni non vengono eseguite con le dovute cautele, il rischio è che i tessuti diventino ricettacoli di sostanze chimiche potenzialmente nocive che poi gradualmente vengono rilasciate nell’ambiente o, peggio, sulla nostra pelle. L’Associazione Tessile e Salute, nata nel 2001 per tutelare i consumatori di prodotti tessili e calzature, mette in guardia soprattutto verso i prodotti d’importazione extra UE: se i produttori italiani ed europei, infatti, operano in un contesto legislativo rigoroso che proibisce l’utilizzo nei processi di lavorazione di determinate sostanze chimiche ritenute pericolose per la salute e sono sottoposti al regolamento europeo REACH (Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals), molti articoli di importazione sono fabbricati in Paesi in cui le stesse sostanze sono consentite o tollerate e presentano quindi un maggior grado di pericolosità.
I composti chimici con cui i capi d’abbigliamento possono venire a contatto nella lunga filiera che conduce dal tessuto grezzo al consumatore finale sono tanti e di varia natura. Ecco un elenco di quelli più comuni ritenuti più pericolosi.
Alchifenoli: usati nei detergenti e nelle tinture, possono accumularsi negli organismi viventi e raggiungere l’uomo attraverso la catena alimentare, interferendo con lo sviluppo sessuale. L’Europa applica una rigida regolamentazione in particolare sui nonilfenoli che, dal 2005, non possono essere utilizzati nella maggior parte delle applicazioni.
Coloranti azoici: rientrano tra i principali coloranti usati nell’industria tessile perché poco costosi, ma in Europa il loro uso è vietato dal 2002 perché possono rilasciare ammine aromatiche potenzialmente cancerogene.
Clorofenoli: sono un gruppo di sostanze chimiche usate come biocidi (principi attivi capaci di inibire qualsiasi organismo nocivo) in un'ampia gamma di applicazioni, dai pesticidi ai conservanti del legno e dei tessuti. Il PCP (pentaclorofenolo) è altamente tossico per gli uomini e per gli organismi acquatici. L'UE ha messo al bando la fabbricazione di prodotti contenenti PCP dal 1991 e ora ha drasticamente ristretto la vendita e l’uso di tutti i prodotti che contengano questa sostanza chimica.
Ftalati: l’industria tessile li usa nella pelle artificiale, nella gomma e nel PVC per renderli più flessibili e in alcuni coloranti. Gli ftalati DEHP e DBP (dibutil fatalato) sono classificati in Europa come tossici per la riproduzione e il loro uso è stato limitato.
Formaldeide: nel tessile viene tradizionalmente usata nei trattamenti antimacchia e antipiega. Fino all’avvento della tecnologia COEX - l’unico trattamento antifiamma che non prevede il rilascio di formaldeide e altre sostanze tossiche (come le molecole alogenate) - rappresentava inoltre un inevitabile sottoprodotto di tutti i trattamenti antifiamma “wash resistant” disponibili in commercio. Oltre a essere altamente irritante per contatto e inalazione, dal 2004 è stata classificata come potenzialmente cancerogena dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) e dal 1° gennaio 2016 l’Unione Europea ne ha circoscritto l’uso entro determinati limiti.
Solventi clorurati: i solventi clorurati come il tricloroetano (TCE) sono utilizzati nell'industria tessile per sciogliere altre sostanze in fase di produzione e per la pulizia dei tessuti. Il TCE è una sostanza dannosa per l’uomo e per l'ambiente; per questo dal 2008 l'Europa ne ha drasticamente ristretto l'uso sia nei prodotti che nel lavaggio dei tessuti.
Metalli pesanti: quelli ritenuti più pericolosi (cadmio, mercurio, piombo e cromo VI) possono accumularsi nel corpo per molto tempo e sono altamente tossici, con effetti irreversibili, inclusi danni al sistema nervoso e al fegato. Il loro uso è soggetto a rigorose restrizioni in Europa da diverso tempo, compresi alcuni usi specifici nei prodotti tessili. Per quanto riguarda il nichel, le norme europee ne vietano i residui sui capi di vestiario perché fortemente allergizzante.
Paraffine clorurate a catena corta: usate nell’industria tessile come ritardanti di fiamma e agenti di rifinitura per la pelle e i tessuti, sono altamente tossiche per gli organismi acquatici, non si degradano rapidamente nell’ambiente e hanno un’elevata potenzialità di accumulo negli organismi viventi. Il loro uso in alcune applicazioni è stato ristretto nell’UE dal 2004.
Ritardanti di fiamma bromurati e clorurarti: molti ritardanti di fiamma bromurati (BFR) sono sostanze chimiche persistenti (non si degradano facilmente) e bioaccumulanti (capaci di accumularsi nella catena alimentare). Gli eteri di difenile polibromurati (PBDE) sono uno dei gruppi più comuni di BFR e sono stati utilizzati per eliminare il rischio di infiammabilità di una vasta gamma di materiali, inclusi i prodotti tessili. Secondo la legislazione europea, l’uso di alcuni tipi di PBDE è sottoposto a stringenti restrizioni e uno dei PBDE è stato inserito nella lista delle “sostanze pericolose prioritarie” ai sensi della legislazione europea sulle acque.
Greenpeace, con la campagna “Detox My Fashion” lanciata nel 2011, ha invitato le aziende del tessile a lavorare con i propri fornitori per eliminare i composti pericolosi dalla catena di produzione e dai prodotti in commercio. Alla campagna hanno già aderito diversi grandi gruppi tessili internazionali; mentre altri hanno scelto di sottoporre i propri prodotti alla certificazione volontaria Oeko-Tex®, che ha lo scopo di controllare la presenza di sostanze nocive nei tessuti e fornire quindi ai consumatori la garanzia che i capi sono stati realizzati secondo criteri ecologici e di prevenzione a tutela del consumatore (per un approfondimento su tessuti made of COEX e certificazione Oeko-Tex® leggi qui). Tuttavia, si tratta di casi ancora isolati nel panorama tessile internazionale e - in assenza di obblighi legislativi e controlli sistematici - ai consumatori non resta che affidarsi al senso di responsabilità delle aziende produttrici e al sistema delle certificazioni volontarie.
Una buona regola resta comunque quella di leggere bene l’etichetta con la composizione dei tessuti (obbligatoria per legge) privilegiando le fibre naturali e di colori chiari (in particolare nei mesi estivi) e i prodotti fabbricati in Italia o in Europa. In secondo luogo, lavare sempre i capi di abbigliamento nuovi prima di indossarli, ripetendo eventualmente il lavaggio nel caso di rilascio di colorante. Una regola che diventa un imperativo quando si tratta di abbigliamento intimo o per bambini.